La pandemia del coronavirus ha colpito, ovunque in Europa, in modo drammatico le residenze per persone anziane e disabili. Anche a Bologna, come in tutta Italia, le strutture hanno affrontato con fatica una situazione totalmente inedita, di ampia e grave portata.
Alcuni fattori, come la scarsità iniziale di dispositivi di protezione individuale, la difficile gestione delle assenze degli operatori e i numerosi casi di anziani positivi che hanno avuto bisogno di un ricovero ospedaliero – purtroppo in molti casi deceduti- hanno complicato una situazione che scontava anche la chiusura delle visite ai parenti con la creazione di situazioni di disagio e sofferenza.
Su indicazione del presidente della Conferenza territoriale sociale sanitaria metropolitana e assessore alla Sanità del Comune di Bologna Giuliano Barigazzi, un gruppo di lavoro formato da tecnici della Città metropolitana, del Comune e dell’Ausl ha preparato un questionario rivolto a 311 strutture per persone anziane e disabili dell’area metropolitana bolognese. Un lavoro ampio, realizzato nell’immediatezza dei fatti, che ha interessato più livelli dell’organizzazione di queste strutture con l’obiettivo di dare anche delle indicazioni per il futuro.
Se è infatti indubbio che il sistema delle residenze non fosse specificamente attrezzato ad affrontare una pandemia è altrettanto vero che la reazione e la collaborazione del sistema territoriale – istituzioni, Ausl e strutture – è partita fin da subito e, tra gli esempi, la task force dell’Ausl ha iniziato a operare con le residenze già da metà marzo.
Al questionario hanno risposto 264 strutture, l’85% del totale, 214 (su 252) strutture per anziani e 50 (su 59) strutture per disabili. Questa indagine restituisce quindi un quadro estremamente realistico di quali sono stati i problemi in queste strutture nei mesi più acuti dell’emergenza sanitaria, marzo e aprile.
Per meglio comprendere l’esaustività dell’indagine è opportuno specificare che quando si parla di strutture per persone anziane si comprendono: case di riposo, case famiglia, case residenza per anziani non autosufficienti (CRA), case protette per anziani, comunità alloggio per anziani, residenze sanitarie assistenziali per anziani. Per strutture per persone disabili si intendono: centri socio riabilitativi residenziale e gruppi appartamento.
Dispositivi di protezione individuale
Il 67,4% delle strutture ha dichiarato di aver avuto problemi nel reperimento dei dispositivi di protezione individuale (DPI). Il dato medio ha toccato punte del 78,9% nelle case protette per anziani, del 75% nelle comunità alloggio per anziani e del 74,6% nelle CRA. Il problema è stato più evidente nelle strutture dell’Appennino (90,3%), meno nel distretto di San Lazzaro di Savena e nel distretto Pianura Est (48,7%), a Bologna il 66,7% delle strutture ha affermato di aver avuto problemi. In soccorso delle strutture sono arrivate le istituzioni pubbliche e i fornitori privati tanto che 168 su 217 hanno dichiarato di aver risolto i problemi entro la fine di aprile.
Personale
La gestione delle assenze del personale ha rappresentato un problema nel 28% dei casi determinando criticità nella copertura dei turni di lavoro. Il 50% dei centri socio riabilitativi residenziali per persone disabili e delle CRA ha affermato di aver avuto problemi, in particolare a Bologna, nel distretto di San Lazzaro di Savena, Imola e il distretto Pianura Ovest.
A queste problematiche è stato fatto fronte con nuove assunzioni, con una diversa organizzazione del personale già in forze, attraverso incentivi e bonus al personale a fronte dello sforzo lavorativo, scorrendo i curricula forniti dall’Agenzia regionale per il lavoro e dalla Città metropolitana per l’assunzione di OSS e infermieri. Le azioni messe in campo hanno portato alla risoluzione dei problemi entro fine aprile per 138 strutture su 152.
Predisposizione di camere singole per la quarantena, nuove accoglienze e rientri dall’ospedale. Istituzione di zone rosse per la quarantena
Il 75% delle strutture ha dichiarato di aver predisposto camere singole per la quarantena, le nuove accoglienze o i rientri dall’ospedale in modo da garantire l’isolamento per queste persone. In particolare questo è accaduto nel 94,7% delle case protette per anziani che hanno risposto, nel 96,8% delle CRA e nel 91% delle case di riposo. Le strutture che non hanno agito in questo senso hanno dichiarato l’assenza di contagio e di persone positive al Covid -19, l’esclusione di nuovi ingressi, l’assenza di spazio in 14 casi.
Il 53,8% delle strutture ha dichiarato di aver istituito una zona rossa all’interno, ovvero un’area isolata per chi era stato contagiato. Se si disaggrega il dato per struttura, questo è avvenuto nel 78,6% dei centri socio riabilitativi residenziali per persone disabili, nell’81% delle CRA e nel 61,2% delle case di riposo. Dove non è stato possibile i motivi sono: l’assenza di ospiti positivi, la mancanza di spazi adeguati.
Problemi nella gestione dei casi sospetti o positivi al Covid-19
L’86,7% delle strutture ha dichiarato di non aver avuto problemi nella gestione dei casi sospetti o positivi al Covid-19. All’interno del dato è da segnalare come il 34,9% delle CRA abbia invece dichiarato problemi in questo ambito e come, disaggregando il dato per distretto, si può notare che i problemi hanno riguardato il 30% delle strutture di Pianura Ovest e il 20,3% di Bologna.
Gestione degli altri ospiti in presenza di positivi al Covid-19
L’84,8% delle strutture ha dichiarato di non aver avuto problemi nella gestione degli altri ospiti in caso di positivi al Covid – 19. Disaggregando per tipologia di struttura il 22,2% delle CRA e il 20% delle comunità alloggio per anziani hanno invece dichiarato di aver avuto problemi a causa della modifica della routine quotidiana con l’interruzione delle attività ricreative e dei contatti con i familiari.
Infine per quanto riguarda la riorganizzazione della durata e della frequenza di igienizzazione degli spazi l’89,4% delle strutture ha dichiarato di non aver avuto problemi come per il recepimento delle istruzioni e indicazione preposte da Regione, Ausl e task force Ausl che nel 92,8% dei casi è stata accolta senza problematiche. Solo le CRA, nell’12,7% dei casi, hanno affermato di aver avuto problemi.
Una parte dell’indagine è infine dedicata ai rapporti degli ospiti delle strutture con i familiari. Più dei due terzi delle strutture hanno chiuso le visite nel periodo che va dal 24 febbraio al 9 marzo e, dopo la chiusura, il 92,4% ha attivato videochiamate degli ospiti con i familiari; 76 strutture le effettuavano a richiesta, 36 prevedevano una videochiamata giornaliera, 59 settimanale.
Il 94,3% delle strutture ha dichiarato di aver effettuato una comunicazione periodica di aggiornamento della situazione nella struttura per i familiari di tutti gli ospiti. In 114 casi sono stati attivati anche ulteriori strategie di comunicazione come l’utilizzo dei social network.
Il dibattito scientifico che ha accompagnato fin dall’inizio l’evoluzione dell’epidemia e gli strumenti per contrastarla è tuttora aperto e caratterizzato da forte dinamicità. Ad oggi quindi appare ragionevole pensare che elementi quali un fisiologico grado di incertezza sulle conoscenze, le numerose variabili in gioco così come le criticità riscontrate abbiano giocato un ruolo diverso a seconda del grado e dei tempi in cui si sono manifestati nelle singole strutture combinandosi con le loro singole specificità logistiche e organizzative.
Uno sguardo al futuro
Dopo aver presentato i principali dati (
qui l’indagine completa
) è utile aggiungere alcuni elementi che guardano al futuro. La popolazione anziana presente nelle strutture nel corso degli ultimi anni si è progressivamente invecchiata ed è più numerosa la presenza di persone gravemente non autosufficienti nella maggior parte delle strutture; da tale situazione ne deriva che i bisogni sanitari e di assistenza sono progressivamente aumentati. La pandemia ha quindi agito su un terreno cedevole ma ha evidenziato prospettive per il futuro di cui tenere adeguatamente conto per aggiornare regole e criteri validi per le strutture.
L’opportunità di prevedere, almeno a livello regionale, la redazione di protocolli “pandemici” che, definiscano ad esempio le procedure per la gestione delle emergenze e stabiliscano la quantità di DPI da avere in riserva. Sarà necessario che nelle strutture, in particolare nelle CRA, si aggiornino le competenze e si ripensi all’organizzazione sanitaria oltre che a rafforzare ulteriormente la connessione con l’azienda sanitaria. Un approfondimento lo merita anche la dimensione delle strutture: nell’emergenza si è osservato che a struttura grande corrispondeva una maggiore diffusione del contagio sia per l’alto numero di ospiti ed operatori presenti e sia per le caratteristiche degli spazi, non sempre adeguate.
Anche una delle caratteristiche più preziose di queste strutture, l’apertura verso l’esterno con le visite di parenti e amici e le attività di socializzazione si è purtroppo dimostrata in questa occasione un elemento di vulnerabilità. Qui sta uno dei nodi centrali: consolidare le Cra come presidi in relazione con la comunità locale e le esigenze di sicurezza sanitaria crescenti. Andranno quindi previste, tra i requisiti minimi di queste strutture, le indicazioni dettagliate e puntuali che la Regione ha diffuso in queste settimane.
Una riflessione necessaria riguarda la formazione degli operatori, guardando in particolare agli OSS divenuti molto importanti, e alla necessità di aumentare le competenze specifiche in campi come il deterioramento cognitivo e l’utilizzo delle tecnologie legate all’assistenza.
All’insieme di queste azioni di miglioramento si dovrà accompagnare un potenziamento della funzione di governo del servizio pubblico da esercitare prevalentemente negli ambiti di coordinamento, programmazione, monitoraggio e controllo. Il servizio pubblico, ancor più che in passato dovrà giocare un ruolo sempre più proattivo nel sostenere il progressivo miglioramento dei servizi resi, assumendo così il compito di offrire garanzie per il cittadino, sia dal punto di vista formale attraverso regole certe e verificate, sia dal punto di vista sostanziale con percorsi di monitoraggio, formazione, predisposizione di istruzioni operative, consulenza che possano sostenere le diverse strutture nel garantire la condizione di miglior benessere offerta agli ospiti.
In conclusione la varietà delle tematiche di lavoro che sono state qui elencate va inserita in modo ineludibile in una visione di più ampio respiro che ripensi le politiche rivolte alla popolazione anziana.
La revisione delle caratteristiche del sistema delle residenze deve essere accompagnata e integrata da innovazioni nell’ambito dell’abitare con la sperimentazione e diffusione sempre più decisa di soluzioni differenziate per persone con grandi diversi di autonomia. Va incentivata una dimensione sociale e un’assistenza domiciliare che si moduli sempre più su diverse intensità di cura, una forte promozione di misure di invecchiamento attivo per arrivare a definire politiche della mobilità, urbanistiche, di progettazione e allocazione dei servizi, di creazione di reti sociali in aiuto e contrasto alla solitudine, coerenti con una società che vedrà incrementare nei prossimi decenni la quota delle persone che diventeranno sempre più anziane.